Sunday, 19 April 2020

Guida all'hockey su ghiaccio per calciofili




Non poco di rado ci capita di osservare o ascoltare allenatori e giornalisti utilizzare nel linguaggio calcistico elementi presi da altri sport, basti pensare al termine "lato debole" per indicare il lato di campo meno presidiato dai difensori, il quale è stato mutuato dal basket, oppure l'utilizzo del termine "touche" in luogo di rimessa laterale utilizzando il termine rugbystico. Partendo da questo spunto ho cercato di mettere insieme dei punti di contatto di alcuni concetti della tattica e dei ruoli nel calcio con quelli dell'hockey su ghiaccio, sport al quale sono personalmente molto affezionato in cui è possibile riconoscere alcuni movimenti tipici anche del gioco del calcio, per cui le contaminazioni tra le due discipline non possono essere ignorate e magari possono essere utili a chi vuole, come me, appassionarsi a questo sport, e capirne, dunque, qualcosa in più.

Per questo motivo questo post proverà a spiegare l'hockey su ghiaccio utilizzando come riferimento elementi e situazioni del gioco del calcio, partendo dagli elementi basilari del gioco, come il goal, il ruolo del portiere e la regola del fuorigioco, fino a mostrare gli elementi in comune nell'elaborazione delle tattiche e delle strategie di gara.

GLI ELEMENTI IN COMUNE NEL GIOCO

IL GOAL E GLI EXPECTED GOALS


Partendo proprio dagli elementi più basilari del gioco, partiamo con un elemento comune intuibile anche a chi è digiuno di concetti sia calcistici che hockeystici, ossia lo scopo del gioco: di fatti in entrambe le discipline lo scopo è quello di realizzare più goal dell'avversario (o prenderne uno in meno, anche nell'hockey, vedremo, ci sono approcci offensivisti e difensivisti), per cui il goal è l'elemento centrale di entrambi gli sport. Ed essendo, dunque, centrale il ruolo del goal in entrambe le discipline la statistica ha elaborato gli expected goals: la ratio è esattamente la stessa, a seconda della posizione da cui un tiro viene effettuato, sulla base di dati storici, si calcola la probabilità che quel tiro possa portare ad un goal; l'utilità di questa statistica è da diversi anni dibattuta, tuttavia l'analisi nel lungo periodo sembra muoversi a favore di questa metrica.

La mappa è presa dal sito http://moneypuck.com/
Come si evince dalla mappa dei tiri a lato di una delle ultime gare di regular season della NHL, si evince come i tiri maggiormente pericolosi ai fini degl xG siano quelli effettuati nella cosiddetta zona dello slot che ho racchiuso in un rettangolo; è questa l'area in cui le squadre cercano maggiormente di andare al tiro ed è lo spazio che le difese cercano maggiormente di chiudere; più ci si allontana dallo slot meno alta è la probabilità di andare in goal, ovviamente così come nel calcio altre variabili contribuiscono a valorizzare gli xG, tra cui, ad esempio, la velocità con cui il giocatore ha tirato (meno tempo passa dalla ricezione dal puck al tiro più alta è la pericolosità del tiro) ed anche la visuale del portiere (ossia quanti giocatori ostruiscono la visuale, il cosiddetto screening che spesso è un compito specifico delegato ad uno degli attaccanti in determinate situazioni).

xG map elaborata da Between the Posts
Anche nel calcio la logica sottesa agli expected goals è la stessa, conta la posizione e l'angolazione di tiro, nonché anche la zona da cui il passaggio è stato ricevuto (se da un passaggio filtrante o da un cross per esempio) ed anche quanti giocatori sono pronti ad ostacolare il tiro e/o la traiettoria di esso. Come si evince dalla mappa degli xG di Lazio-Bologna dell'ultima giornata di campionato giocata prima dello stop, si nota come i puntini più grandi coincidano con tiri presi da posizione più o meno favorevole che generano un determinato valore di xG.









IL PORTIERE E LE STATISTICHE SULLE PARATE


Come nel calcio la porta viene difesa da un portiere, in inglese il portiere di calcio e quello di hockey hanno una nomenclatura diversa, da una parte abbiamo il goalkeeper, dall'altra abbiamo il goalie. Il dizionario della lingua inglese non da definizioni diverse tra i due termini che sono, dunque, interscambiabili, mentre se si vuole usare un termine comune alla due discipline si usa il termine goaltender, alla fine ciò che conta è il compito principale che hanno in entrambe le discipline, ossia quello di evitare il goal avversario; il portiere di calcio, tuttavia, si sta evolvendo in un ruolo che non si limita più al difendere la porta (il goalkeeper si sta trasformando in sweeper-keeper), un'evoluzione che i portieri di hockey non hanno potuto seguire e non potranno farlo, questo perché l'equipaggiamento di cui dispongono non permette loro di maneggiare il bastone nel modo più consono per poterlo condurre pattinando; essendo, invece, la porta molto più piccola, la loro capacità di coprirla al meglio è ancora più importante rispetto a quanto non lo sia nel calcio, ragion per la quale le statistiche sulle prestazioni dei portieri nella difesa della porta, dato anche il quantitativo maggiore di tiri subiti rispetto ad un portiere da calcio, è fondamentale ed è spesso lo spartiacque tra il successo e l'insuccesso di una squadra.




Nel grafico sopra esposto ho preso come campione di riferimento i portieri NHL che hanno disputato un minimo di 50 partite nei playoff e ho provato a classificarli sulla base della percentuale di partite terminate con il 90% di tiri parati e la quantità di vittorie in percentuale rispetto alle partite disputate nei playoff, ne emerge una tendenza in base alla quale per avere una percentuale di vittorie ai playoff superiore al 50% necessita una percentuale di partite superiore al 60% terminate con almeno il 90% di tiri parati. Numeri a parte la storia dei playoff NHL ci ha spesso raccontato storie di portieri che hanno trovato in quelle settimane il loro periodo di grazia ed hanno trascinato la loro squadra al successo nella Stanley Cup, l'esempio più vicino a noi è Jordan Binnington, che da quasi sconosciuto all'inizio della stagione scorsa ha messo il mantello del super eroe nei playoff fino a conquistare la Stanley Cup con i suoi St.Louis Blues, chiudendo la saracinesca nella ormai già iconica vittoria in gara 7 a Boston. 

Nel calcio, invece, il metro di giudizio sulle prestazioni di un portiere non può essere limitato ad un dato parate/tiri, questo perché oggettivamente la grandezza della porta rende spesso impossibile l'intervento del portiere, per questa ragione la statistica sugli expected goals vista sopra ha un ruolo di un certo tipo anche per i portieri, tuttavia non coprirebbe del tutto la questione della direzione del tiro, per questo gli statistici hanno ulteriormente vivisezionato i tiri subiti elaborando i post-shots expected goals, ossia un indice numerico simile a quello degli expected goals ma misurato non sulla posizione da cui è partito il tiro ma sulla base della direzione dello stesso nello specchio della porta (per intenderci, un tiro sotto l'incrocio avrà un valore superiore rispetto ad un tiro basso e centrale).

Fonte tabella fbref.com
Usando come riferimento i dati sui post-shots expected goals disponibili sul sito fbref si nota come i portieri delle prime due squadre del campionato sono davanti a tutti in questa statistica, questo vuoldire che l'impatto delle parate di un portiere se valutato sulla base della qualità e non sulla quantità delle parate resta un elemento di un certo impatto per le fortune di una squadra, anche se non comparabili con quelle di un portiere di hockey, questo spiega perché un portiere come Sirigu si trovi al terzo posto ma che difenda i pali di una delle squadre dal rendimento peggiore in campionato; anche per questo motivo molti allenatori di calcio oggi preferiscono anche rinunciare a dei portieri tecnicamente eccelsi nella difesa della porta ma che siano in grado di assistere la difesa nel far partire l'azione in maniera pulita dalla propria trequarti.

IL FUORIGIOCO

Il fuorigioco è nel calcio la croce e la delizia dei tifosi, dei non tifosi che rifiutano di capirne la regola, degli allenatori che spendono ore ed ore di lavoro a coordinare il lavoro delle proprie linee difensive ad utilizzare il fuorigioco come tattica difensiva in cui non è più l'uomo al centro dell'attenzione del difensore, ma lo spazio alle sue spalle: il fuorigioco nel calcio serve alla squadra difendente a restringere i 110 metri di lunghezza del campo da gioco. 

Nell'hockey su ghiaccio il campo da gioco ha dimensioni decisamente ridotte (60 X 30 sarebbero le misure standard) rispetto a quello da calcio, per cui il fuorigioco ha regole e finalità diverse: il punto di riferimento del fuorigioco dell'hockey non è dato dal posizionamento dei giocatori della squadra difendente, bensì da una linea fissa di colore blu posizionata a circa 20 metri dalla porta; chi attacca non può superare quella linea se prima non lo ha fatto il puck (o il disco se preferite), la parte del corpo utilizzata come riferimento è, invece, il piede del giocatore, più specificatamente il pattino (per intenderci, l'attaccante può "invadere" la linea blu con il bastone qualora il pattino sia dietro la linea, un po' come il braccio del calciatore nel fuorigioco calcistico).

Poiché le linee del fuorigioco dividono il campo in tre parti, le strategie e le tattiche dell'hockey sono incentrate sull'accesso nel terzo d'attacco da una parte e sull'uscita dal terzo difensivo dall'altra, così come nel calcio le strategie sono incentrate sull'accesso e alla trequarti e/o all'area avversaria e l'uscita dalla propria trequarti difensiva; la regola del fuorigioco, inoltre, rende possibile nel calcio elaborare strategie di pressing molto aggressive considerando il fatto che una linea difensiva posta all'altezza della linea di metà campo può permettere di ridurne la lunghezza di oltre 50 metri.



LE STRATEGIE TATTICHE

Le conclusioni emerse sopra aprono il discorso sui punti di contatto a livello tattico tra il calcio e l'hockey su ghiaccio, le somiglianze tra le due discipline sotto questo aspetto sono parecchio interessanti e si incentrano principalmente sulla gestione di due fasi di gioco centrali nell'elaborazione strategica di una partita, ossia l'uscita dal terzo difensivo/uscita dalla trequarti difensiva ed il forechecking/pressing.

L'USCITA DAL TERZO DIFENSIVO


Buona parte della lotta strategica tra due squadre in una partita di hockey sul ghiaccio è la capacità di portare e tenere il gioco nel terzo difensivo avversario, ma soprattutto è compito primario di una squadra quello di saper uscire nel modo migliore possibile dal terzo difensivo, un principio molto comune a quello del calcio, dove le tattiche degli allenatori sono basate sulle strategia di uscita palla dalla propria trequarti, un concetto che molto sta facendo discutere in questi mesi vista la continua presenza di istruzioni da parte degli allenatori di calcio di cercare di attrarre il pressing avversario in zone molto avanzate di campo per poi muovere il pallone verso zone di campo più pericolose, una strategia con i suoi pro ed i suoi contro di cui non starò adesso a disquisire.

Questo tipo di discussione nata nel calcio negli ultimi anni prende spunto senz'altro dalle domande che da sempre si pongono gli allenatori di hockey visto che in questa fase di gioco le squadre di hockey non possono utilizzare il lancio lungo come opzione per liberare il proprio terzo difensivo, questo perché il regolamento prevede una penalità per liberazione vietata (meglio conosciuto come "icing") in caso il disco venga mandato direttamente dal proprio terzo difensivo verso l'area dietro la linea di porta avversaria; l'icing comporta la ripresa del gioco con un ingaggio nel proprio terzo difensivo, una situazione che genera non pochi pericoli qualora l'ingaggio sia vinto dalla squadra avversaria, dunque mentre nel calcio la tattica del "palla lunga e pedalare" ha una sua logica nei termini di allontanare l'avversario dalla propria trequarti, nell'hockey lanciare via il disco riporta l'azione esattamente nel punto da cui si voleva uscire con una possibilità di perdere il possesso in una situazione anche più sfavorevole rispetto ad un puck perso in una situazione di disimpegno (le possibilità poi, ovviamente, variano in base all'abilità del singolo giocatore in fase di ingaggio, nell'esempio sotto addirittura Ovechkin realizza un goal direttamente dall'uscita dell'ingaggio).





Fatta questa opportuna premessa, è evidente come una volta che la squadra deve gestire il puck nel proprio terzo difensivo deve escogitare degli schemi e delle strategie per poterne uscire il più in fretta possibile ed allo stesso tempo cercare di ribaltare il campo. I meccanismi principali che vediamo più spesso in tv sono i seguenti che andrò a raccontare, ognuno di questi è basato sulla tipologia di pressione avversaria ed anche sulla cultura tattica degli allenatori che la applicano, ma soprattutto necessitano un grande lavoro di comunicazione tra i compagni di squadra.

USCITA DAL LATO FORTE


La prima opzione è quella di creare un lato forte per avere superiorità numerica e far uscire il disco da quel lato, questa è l'opzione più utilizzata, ossia il difensore in possesso messo sotto pressione trova l'appoggio dell'ala operante su quel lato servendolo con l'ausilio della sponda, l'ala a sua volta deve difendere il puck dalla pressione avversaria o utilizzando anch'egli la sponda e portare il disco più avanti o appoggiando sul centro che è venuto incontro a fornirgli una linea di passaggio, in sistemi più "spregiudicati" anziché il centro a fornire questa linea di passaggio è il secondo difensore che, in genere, nei sistemi più classici, resta a protezione dell'area davanti alla propria gabbia (o slot). Questa strategia è assimilabile alle catene laterali che vediamo in diverse squadre tra cui l'Atalanta di Gasperini.

Come si evince dall'immagine, il difensore cerchiato in rosso ha il tempo di osservare il forechecker e la sua posizione, l'unica soluzione di passaggio a sua disposizione è l'ala che si trova esattamente sulle sua spalle, in questi casi è sufficiente al difensore utilizzare la sponda per recapitare il puck al suo compagno, in questa maniera rende vana la pressione avversaria, una volta giunto il puck all'ala, quest'ultimo deciderà se ripartire portando il puck (possibile in quanto non ha pressione, ma poco efficiente in quanto la sua postura è totalmente di spalle alla metà campo avversaria, qualora avesse avuto pressione il suo ruolo sarebbe stato di tenere coperto il puck dalla pressione avversaria e con l'aiuto della sponda farlo uscire dal terzo difensivo) oppure se scambiarlo con il centro o con il secondo difensore a seconda dei loro movimenti e della reazione del secondo forechecker (cerchiato in bianco). Nella situazione specifica dell'immagine sotto la pressione del primo forecheker data la situazione di punteggio è piuttosto blanda, per cui il difensore decide di portare il puck nello spazio in cui si era creata la linea del passaggio per l'ala.


Ora guardate l'immagine sopra e confrontatela con l'iconico rombo dell'Atalanta di Gasperini in fase di sviluppo dell'azione. Nel calcio giocare in una zona laterale di campo è meno redditizio che nell'hockey su ghiaccio, questo perché, come ama spesso affermare Guardiola, la linea laterale rappresenta un difensore aggiuntivo per la squadra avversaria, nell'hockey, invece, la sponda è spesso utilizzata come alleato per un'uscita sicura del puck dal terzo difensivo ma anche per far progredire il gioco in altre zone di campo. L'Atalanta di Gasperini per ovviare a questo limite crea questi rombi in modo da avere una forte superiorità numerica sul lato e poter facilitare la progressione della palla.

IL CAMBIO DI LATO


Se il forechecking avversario (l'equivalente hockeystico del pressing alto calcistico) non permette la creazione del lato forte si procede ad un cambio di lato (più o meno equivalente di un cambio di gioco nel calcio) con il secondo difensore che crea una linea di passaggio abbassandosi dietro la porta; come si vede dall'immagine sotto, il difensore è pressato, il centro funge da terzo uomo ed attira la pressione del secondo forechecker avversario, a questo punto il secondo difensore è libero e chiama la giocata al compagno e si muove per andarsi a prendere il puck da dietro la porta creando la linea di passaggio. 
















Questa opzione è forse quella più assimilabile alla salida lavolpiana calcistica, in cui un terzo giocatore si associa ai due difensori per creare una superiorità numerica (3 vs.2) rispetto alla pressione avversaria, permettendo ai terzini (nel caso hockeystico alle ali) di alzarsi in una posizione più avanzata e togliere, dunque, uomini alla pressione avversaria che, altrimenti rischierebbero di allungare la squadra.

Ecco un caso di scuola della salida lavolpiana calcistica proposta da Guardiola ai tempi del Barcellona, con 1 e 2 sono indicati i due difensori centrali, con il 3 Busquets che fa da terzo uomo che attira ulteriore pressione, a differenza del cambio di lato hockeystico, è il portiere ad essere utilizzato per il cambio di lato, mentre nell'hockey si utilizza la sponda vista la poca propensione a coinvolgere il portiere a causa delle difficoltà in termini di mobilità date dal suo equipaggiamento; questo esempio si può applicare anche alla strategia successiva, ossia quella delle rotazioni posizionali.


ROTAZIONI POSIZIONALI E TERZO UOMO


Con questa opzione il difensore porta il disco da un lato all'altro utilizzando lo spazio dietro la porta attivando rotazioni nelle posizioni dei compagni, questo costringe il forechecking avversario a fare delle scelte e permette a chi porta il disco di scegliere l'opzione più favorevole per far progredire l'azione, questo è l'approccio più simile a quello che vediamo nelle squadre di calcio che applicano i principi del gioco di posizione. In particolare se il forechecker segue il difensore sin dietro la porta il secondo difensore ed uno degli attaccanti devono dare sostegno al compagno, se vogliamo questo approccio è una trasposizione hockeystica del concetto di terzo uomo calcistico, ossia un giocatore che si aggiunge per garantire la superiorità numerica rispetto al pressing avversario.

Nell'immagine sotto i due difensori sono affrontati dagli attaccanti, a questo punto viene chiamata l'uscita wheel, ossia non è il disco a doversi muovere ma è il difensore in possesso che dovrà portare il disco nell'area dietro la porta per capire la strategia del forechecker, ossia se lo segue oppure se rinuncia: come vedremo nel video successivo la scelta del forechecker è quella di seguire il difensore fin dietro l'area di porta, a questo punto il secondo difensore dovrà spostarsi sull'altro lato per portarsi via il secondo forechecker e permettere l'ingresso dell'ala o del centro su quel lato (il corrispondente del terzo uomo nel calcio).



Una volta che il difensore che porta il puck raggiunge l'altro lato può scrollarsi delle pressione del forechecker o giocando il puck sull'ala che accorre da quel lato di campo oppure tagliarlo fuori con una finta e tornare indietro ed essere libero di impostare l'azione senza pressione.


USCITA DIRETTA DAL TERZO DIFENSIVO


Questo è il cambio di gioco diretto (rim play), ossia il difensore cambia lato di campo ma non lo fa con l'aiuto del secondo difensore bensì usando le sponde alle spalle della porta per far recapitare il disco sull'ala che lo raccoglie dal lato opposto. Questa è la giocata hockeystica più simile al lancio lungo, come detto in premessa il puck non può essere buttato via, tuttavia sfruttare al massimo il gioco delle sponde permette un'uscita molto rapida del puck e, se ben eseguita, può permettere anche l'immediata trasformazione dell'azione da difensiva in offensiva.




Oltre al calcio lungo questo tipo di giocata si può anche assimilare al cambio di gioco da un terzino all'esterno che si trova più alto dal lato opposto (opzione che il Bayern utilizzava spesso sull'asse Alaba-Robben).


IL PRESSING


Dopo aver visto come l'uscita dal terzo difensivo preveda diverse strategie che possiamo assimilare al calcio, le somiglianze sono ulteriormente visibili in relazione ad un altro fondamentale tattico di entrambi gli sport, ossia il pressing che, nell'hockey è meglio conosciuto come forechecking
Non è un mistero che il gegenpressing, la strategia di ri-aggressione che ha reso Jurgen Klopp l'allenatore che è adesso, abbia come riferimento la strategia di forechecking dell'hockey su ghiaccio, visto che diverse squadre lo utilizzano come strategia offensiva ancora prima di una strategia di mero recupero del puck, specie nel momento in cui la squadra fa fatica ad entrare nel terzo offensivo avversario. 

Cerchiamo di andare a vedere le somiglianze tra le strategie di pressing hockeystiche mettendole a confronto con quelle calcistiche, mentre facevo le mie ricerche sono rimasto sorpreso da quanti siano i punti di contatto tra le due discipline.

FORECHECKING 1-2-2

E' il sistema di pressione più "conservativo" che conosciamo, sostanzialmente la pressione su chi ha il possesso del puck è esercitata da un solo giocatore, mentre gli altri compagni si mettono in posizione tale da ostacolare la ricezione del passaggio ad ogni potenziale ricevente (sostanzialmente si cerca di coprire ciascuna delle opzioni di uscita dal terzo difensivo) mediante un'opportuno posizionamento sul ghiaccio in una posizione tale da coprire sia il centro del campo che la relativa sponda.

Un esempio di 1-2-2 è indicato nell'immagine accanto: con il numero 1 abbiamo indicato il forechecker, ossia colui che va a dare pressione a chi porta il disco, gli altri due attaccanti (2 e 3) coprono le soluzioni possibili di uscita, in particolare il 3 è posizionato in modo da raccogliere un uscita diretta tramite la sponda (il rim play) il 2 è in una posizione intermedia tra l'aggredire il secondo difensore o chiudere la sponda; questo fotogramma è già in una fase più avanzata dell'azione, il portatore del disco ha già deciso di uscire dall'altro lato portando il disco (il cosiddetto reverse), per cui il 2 sta già orientando la corsa per andare a pressarlo da quella parte, per cui l'1 si sposterà davanti allo slot, il 3 scalerà dall'altra parte, i 2 difensori (4 e 5, non inquadrati) restano in copertura nel caso in cui la prima pressione non vada a segno.

Nel calcio questo tipo di pressing coincide con una versione più attendista, ossia quando si sceglie di utilizzare un solo giocatore in pressione sui due difensori centrali in fase di uscita della palla, mentre la linea alle spalle dell'attaccante si dispone in modo tale da rendere incerta la ricezione della palla da parte dei centrocampisti.

Uno dei principi su cui Nagelsmann sta lavorando a Lipsia è proprio quello di un pressing il cui obbiettivo è di togliere linee di passaggio agli avversari, l'unico uomo ad essere aggredito (1) è il portatore di palla, i due giocatori più prossimi (2-3) si mettono in una posizione tale da poter intercettare qualsiasi linea di passaggio in zona centrale, in più due uomini (4-5) sono pronti a dare supporto qualora la prima linea di pressione venga superata; Nagelsmann con il suo sistema rimpicciolisce il campo da gioco per l'avversario proprio come in un ovale hockeystico.

FORECHECKING 2-1-2

Questa tipologia di pressione necessita di giocatori con caratteristiche molto particolari ed è utilizzata per dare maggiore pressione all'avversario rispetto al 1-2-2 e per avere una riconquista del disco ancora più immediata, si tratta di un'evoluzione delle strategie di pressione classiche ed è stata portata avanti, come nel calcio, conseguentemente alla crescita della struttura fisica dei giocatori.

Con questo sistema i due attaccanti (generalmente le due ali) vanno in pressione individuale sui due difensori avversari, il centro (n. 3) resta nella zona centrale; qualora i difensori riescano ad uscire dalla pressione utilizzando una delle due sponde, tocca ad uno dei due difensori ad andare a chiudere (n. 4 e n.5, non visibili nell'immagine), qualora il difensore sia chiamato a fare questo movimento tocca al centro scalare indietro e fornire copertura alle sue spalle. Per eseguire questo tipo di pressione è necessario avere delle ali dal forte impatto fisico (altrimenti sarebbero in svantaggio in caso di scontro alla balaustra con il difensore) ed un centro in grado di pattinare velocemente verso il proprio terzo difensivo per non lasciare scoperto lo spazio dietro al proprio difensore, un movimento che possiamo assimilare a quello delle marcature preventive nel calcio, un compito talmente importante che in NHL esiste un premio individuale specifico per il  giocatore che si contraddistingue per questo fondamentale.

Un approccio simile nel calcio lo vediamo nei tentativi di pressing uomo contro uomo, il difensore in possesso di palla e l'altro centrale difensivo sono presi individualmente (1 e 2 vs. 1 e 2), le opzioni di passaggio corto sono chiuse a causa della pressione individuale su ciascuno dei potenziali riceventi (3, 4, 5 vs. 3, 4, 5); questa tipologia di pressing, così come nell'hockey, è molto dispendiosa e se non ben eseguita può facilmente scoprire la squadra; nel caso preso come riferimento nell'immagine, la Real Sociedad è una della squadre in Europa in questa stagione che meglio esegue questa tipologia di pressing ed il quarto posto in classifica nella Liga ne è una chiara dimostrazione.

IL SISTEMA TORPEDO ED IL GEGENPRESSING

Ultimo elemento che andiamo ad analizzare e che ci porta ancora di più all'interno delle somiglianze tra le tattiche calcistiche e quelle dell'hockey su ghiaccio è quello relativo al gegenpressing reso famoso da Jurgen Klopp ai termini del Borussia Dortmund e traslato nei primi anni della sua avventura in panchina a Liverpool; il riferimento preso dal tecnico tedesco è ripreso proprio dall'hockey su ghiaccio, dove il forechecking è spesso utilizzato nelle strategie offensive come parte dell'azione offensiva stessa. 

Questo sistema nell'hockey è stato implementato dalla scuola svedese, sicuramente una delle più importanti a livello mondiale (2 Olimpiadi ed 11 Mondiali vinti) tramite il cosiddetto sistema torpedo, dove con questo termine si utilizzano i due giocatori (appunto, i torpedo) che, in fase di forechecking hanno il compito di andare ad attaccare i difensori e contendere il puck in maniera insistita finché non viene riconquistato; gli altri tre elementi della squadra agiscono in copertura sul lato dove si sta giocando il disco.

Come si evince dalla sequenza qui a lato, i due attaccanti svedesi (già in posizione avanzata) entrano nel terzo offensivo e giocano il puck alle spalle del difensore per poi attaccarlo immediatamente, i due attaccanti continuano a dare pressione sui difensori russi finché il puck non è riconquistato e reso giocabile verso il compagno (in questo caso il difensore che era rimasto sulla stessa linea del forechecking del compagno) che trova addirittura il goal. In questo esempio la partita non metteva in palio una posta particolarmente importante (si trattava di una partita del girone dei Mondiali in cui entrambe le squadre erano qualificate alla fase successiva) per cui la pressione non viene esercitata con uno scontro alla balaustra che, invece, è alla base della riconquista del puck in questo sistema di pressione, tuttavia il concetto resta inalterato; il sistema torpedo ha poi delle peculiarità anche in altre fasi di gioco ma non starò ad approfondirle in questa sede.

Dato il ruolo che giocano i torpedo nell'esecuzione di questa strategia l'accostamento con il gegenpressing è presto fatto: il tridente d'attacco di Klopp a Liverpool sono i torpedo del sistema del tecnico tedesco: in fase di uscita dalla propria metà campo sono sempre posizionati in modo tale da essere sul filo della linea difensiva avversaria e farsi innescare dai lanci alle loro spalle; se il difensore recupera, l'attaccante resta in pressione avendo come riferimento il pallone: continua ad aggredirlo finché non lo riconquista o l'avversario deve liberarsene. 

Questa tipologia di pressione sia nell'hockey che nel calcio ha subito diverse varianti e diversi adepti che ne hanno smussato o ulteriormente radicato la sua teoria, per esempio oggi nell'hockey abbiamo la "trappola" messa in piedi tramite l'1-3-1 in zona neutra che possiamo ammirare nei Tampa Bay Lightnings in NHL che è un'evoluzione del sistema Torpedo, nel calcio abbiamo il sistema di contro-pressing marchio di fabbrica del progetto tecnico Red Bull e che sta creando una fucina di allenatori austriaci come Hutter (oggi a Francoforte) e Marco Rose (oggi a Moenchengladbach) che di questo sistema sono proseliti, per ulteriori approfondimenti sul gegenpressing calcistico vi consiglio la lettura dell'articolo a riguardo di Flavio Fusi su Ultimo Uomo dove potrete anche ammirare ulteriori declinazioni di questo sistema come quello di Roger Schmidt ai tempi del Leverkusen.


Wednesday, 1 April 2020

L' Arsenal degli Invincibili




In questo periodo di astinenza totale da eventi calcistici e sportivi in generale ognuno di noi sta cercando di compensare questa mancanza a modo proprio, così, come il palinsesto delle reti sportive cerca di trasmettere partite disputate negli scorsi anni allo scopo di esorcizzare la nostra dipendenza, lo stesso esercizio ho deciso di farlo analizzando una delle squadre più iconiche della prima parte del XXI secolo, nonché una delle squadre che ho più seguito ed apprezzato da ragazzino, ossia l'Arsenal  degli Invincibles allenati da Arsene Wenger, capaci di vincere la Premier League 2003-2004 e di farlo, prima ed unica squadra, finora, nella storia della Premier League senza perdere neanche una partita.

Rivedere quelle partite mi ha permesso di rivedere l'atmosfera particolare che aveva Highbury (che sarà pensionato due stagioni più tardi), di vedere gli ultimi scampoli di carriera di un giocatore unico come Dennis Bergkamp e soprattutto di vedere al loro prime gente del calibro di Patrick Vieira (quello che oggi definiremmo un centrocampista box-to-box), Thierry Henry, le cui accelerazioni mettevano nel panico le difese avversarie, e Robert Pires, le cui verticalizzazioni e/o inserimenti alle spalle della difesa dimostravano una capacità tecnica ed un'intelligenza calcistica di gran lunga superiore alla media. A questo aggiungerei lo strapotere fisico di Sol Campbell e Kolo Tourè: oggi siamo abituati a vedere giocatori alti e forti fisicamente e contestualmente dotati di una grande velocità, a quell'epoca due giocatori con quelle caratteristiche erano una rarità assoluta.

LO SCHIERAMENTO BASE DELL'ARSENAL

L'Arsenal di Wenger ha portato una ventata di novità principalmente grazie all'approccio tecnico e tattico della squadra. Il paradigma del calcio inglese è stato sempre prevalentemente orientato ad un calcio diretto fatto di palle lunghe e tanti contrasti e tante botte a centrocampo con poco spazio, dunque, al gioco palla a terra ed ai centrocampisti tecnici, Wenger è riuscito a portare in Inghilterra concetti come iniziare l'azione dai difensori, rotazioni a centrocampo ed occupazione in larghezza del campo.

Di quel Arsenal, a giusta ragione, si menzionano principalmente Thierry Henry e Robert Pires, i due elementi di maggior livello sicuramente e principali marcatori di quella stagione (rispettivamente 30 goal e 9 assist, 14 goal e 10 assist) ma non si è mai fatta troppa attenzione al lavoro dei difensori dei Gunners.

Il cambio del quartetto difensivo posto in essere da Wenger è stato il primo grande cambiamento portato dal tecnico alsaziano nel momento in cui ha preso possesso della panchina; gli anni '90 dei Gunners furono scanditi dalla filastrocca Dixon-Adams-Keown-Winterburn; Wenger li ha progressivamente accompagnati alla pensione mantenendo in squadra il solo Keown che aveva il ruolo di sostituto o backup dei due centrali difensivi, ossia Sol Campbell e Kolo Toure che, affiancati, da Lauren a destra ed un allora giovanissimo Ashley Cole a sinistra hanno concesso in quella stagione appena 26 reti a fronte di 114 tiri in porta subiti (esattamente 3 tiri in porta subiti a partita).

Il centrocampo garantiva solidità in fase di non possesso grazie al lavoro di sostegno alla linea difensiva della coppia Gilberto Silva-Vieira (con quest'ultimo che non di rado utilizzava senza troppe difficoltà le maniere forti, 98 falli e 10 cartellini gialli per lui), ma, mentre il brasiliano, si limitava ai compiti di filtro davanti alla difesa ed agevolare di tanto in tanto il lavoro dei centrali difensivi in fase di disimpegno (lo definirei senza neanche esagerare nel paragone, un Casemiro ante-litteram), il francese in fase di possesso si staccava e fungeva a volte da trequartista alle spalle del centrocampo avversario.

I due esterni (Pires e Ljungberg) avevano questa posizione solo sulla carta; il loro compito era quello di accentrarsi (specie il francese) e liberare spazio per le incursioni degli esterni difensivi (in particolare Cole a sinistra); questa continua rotazione dei giocatori, unita alla duttilità degli stessi nel coprire zone di campo diverse era il marchio di fabbrica del lavoro di Wenger sia in termini di scouting dei giocatori della sua rosa, sia in termini di concezione di gioco.

L'attacco, invece, era la grande particolarità dell'Arsenal di Wenger all'epoca, ossia la rinuncia ad un attaccante di peso (quasi un must per la Premier) per inserire due attaccanti dalle grandi doti tecniche e/o di velocità; quanto detto si traduce nei nomi di Thierry Henry, Sylvain Wiltord e Dennis Bergkamp: il primo era al prime della propria carriera (quarto nella classifica del Pallone d'Oro quell'anno alle spalle di Schevchenko, Deco e Ronaldinho) ed univa la tecnica alla velocità, le sue discese palla al piede raramente trovavano difensori abili a fermarlo.

Non ultimo il ruolo avuto dai sostituti: nello schieramento base raffigurato sopra ho indicato i giocatori a cui Wenger si affidava in corso d'opera per far rifiatare i titolari o per modificare il contesto tattico a seconda dello scenario che la partita delineava; così Keown diventava il backup dei due centrali difensivi in caso di loro assenza, oppure entrava al posto di Lauren spostando Toure sulla destra, Parlour poteva sostituire per caratteristiche chiunque dei 4 di centrocampo, stesso discorso per Edu, mentre in attacco Dennis Bergkamp si alternava con Wiltord al fianco di Henry.


LE PARTITE CHIAVE DELLA STAGIONE

Dopo aver analizzato come Wenger mandava in campo la sua squadra, ora entriamo più nel dettaglio andando ad analizzare una serie di partite che hanno permesso all'Arsenal di prendere consapevolezza della propria forza e di indirizzare la stagione dalla propria parte, superando le difficoltà man mano trovate per strada ma che sono state sempre superate con grande consapevolezza dei propri mezzi dalla squadra di Wenger, una forza mentale e voglia di lottare che, negli anni successivi, si è andata progressivamente diradando.

LA GARA D'ESORDIO: ARSENAL-EVERTON

Il 16 agosto 2003 ha inizio la Premier League, il detentore del titolo è il Manchester United di Sir Alex Ferguson, l'Arsenal ha conteso fino in fondo il titolo ai Red Devils, ma senza successo, tuttavia Wenger aveva chiaramente già iniziato quel processo di trasformazione della squadra poi sublimato dalla stagione in arrivo. A dare il battesimo alla stagione dei Gunners c'è l'Everton di David Moyes, alla guida dei Toffees da tre anni e che stava iniziando a costruire la squadra che l'anno dopo avrebbe raggiunto l'accesso alla fase preliminare della Champions League e che l'anno precedente, proprio contro l'Arsenal, aveva messo in vetrina un gioiello che di li a poco avrebbe iniziato a fare le fortune del Manchester United, ossia un certo Wayne Rooney.

Come si evince da questa grafica entrambe le squadre si schierano in campo con un 4-4-2; rispetto alla grafica i 4 di difesa dell'Everton sono da destra a sinistra Pistone-Yobo-Stubbs-Unsworth, mentre come abbiamo visto sopra, il 4-4-2 di Wenger era solo nominale visti i movimenti e le rotazioni dei centrocampisti, il 4-4-2 dell'Everton era, invece, molto più rigido, con il solo Radzinski ad avere libertà di movimento su tutto il fronte d'attacco.

Come spesso capita all'Arsenal di quella stagione, l'approccio alla partita non è propriamente dei migliori, tant'è che la prima occasione ce l'ha sui piedi l'Everton dopo 7' con Chadwick che raccoglie un cross di Radzinski dalla destra ma trova un ottimo Lehmann a respingere con il piede in contro-tempo la conclusione del centravanti. Le difficoltà contro lo schieramento compatto proposto da Moyes non permette all'Arsenal di trovare la giocata giusta, inoltre la posizione defilata di Radzinski e le incursioni di Gravesen preoccupano parecchio Ashley Cole e Vieira che, quindi hanno paura a scoprirsi; al 25' arriva l'evento che sembrava poter decidere il match negativamente per la formazione di Wenger: proprio un'incursione di Gravesen buca la zona centrale difensiva dell'Arsenal e Campbell per fermarlo deve commettere fallo da ultimo uomo e lasciare i suoi compagni in 10 per più di un'ora di gioco.

Quando tutto sembra andare verso il peggio ecco che invece l'Arsenal alza improvvisamente il livello del proprio gioco e chiude l'Everton nella propria metà campo: Wenger prima riallinea lo schieramento della squadra con l'uomo in meno togliendo Wiltord ed inserendo Keown che va a coprire la casella lasciata incustodita dall'espulsione di Campbell, allo stesso tempo chiede alla squadra di salire e, soprattutto, a Vieira e Gilberto di stare più alti ed aggredire l'Everton; le indicazioni del tecnico accendono l'Arsenal che, non ostante l'inferiorità numerica, prende il centro del ring e al 35' si porta anche in vantaggio con un rigore di Henry fischiato per un fallo di mano in area di rigore di Stubbs.

Il goal non ferma i Gunners che continuano a muovere palla e cercare di recuperarla in maniera molto aggressiva, così, come vedete dalla grafica a lato, nei 5 minuti successivi al goal l'Everton non vede quasi mai la palla. Insomma l'Arsenal nella fase finale di quel primo tempo mette subito in chiaro quali saranno le proprie intenzioni da li fino alla fine della stagione, in quei minuti si vede un bigino degli strumenti utilizzati dalla squadra per dominare quella Premier League, inclusa l'eccessiva irruenza di Patrick Vieira nei contrasti, irruenza che al 41' gli costa l'ammonizione per un'entrata a forbice su Gravesen.

Nel secondo tempo l'Arsenal continua a tenere il controllo della partita ed il possesso palla (57% alla fine il dato a favore della squadra di Wenger) nei primi 15 minuti, il tempo per trovare il goal del raddoppio con Pires in un'azione che vede Henry raccogliere il pallone al limite dell'area, il suo tiro respinto da Wright, finisce sui piedi di Vieira che, assieme a Ljungberg, aveva attaccato l'area sul movimento di Henry, il tiro del francese è respinto ancora da Wright ma sulla ribattuta si inserisce da dietro Pires che realizza a porta vuota. Mentre l'Arsenal domina, Moyes cerca con i cambi di cambiare il corso della partita inserendo Rooney al posto di Linderoth spostando Pembridge al centro, poi è quest'ultimo ad uscire per lasciare spazio al cinese Li Tie (che si fa espellere per doppia ammonizione in 20'), mentre Naysmith entra al posto di Unsworth per dare spinta sulla fascia sinistra e permettere a Rooney di raccordarsi con Radzinski e Chadwick; alle mosse di Moyes Wenger risponde con  l'ingresso di Parlour al posto di Pires, permettendo alla squadra di avere maggiore copertura. L'Everton ha un buon ritorno nel finale di partita dove trova il goal con Radzinski all'84' sugli sviluppi di un calcio d'angolo e, sempre da corner, rischia di trovare il goal del pareggio, ma finisce con la vittoria di misura dei Gunners che superano lo scoglio di una gara d'esordio giocata in 10 uomini per più di un'ora con grandissima brillantezza.

MANCHESTER CITY - ARSENAL,  LA VITTORIA DI RIMONTA

La quarta giornata di campionato è quella che vede la prima sconfitta del Manchester United, l'Arsenal è impegnato nel posticipo della domenica pomeriggio contro l'altra metà della città già conoscendo della sconfitta subita dalla squadra di Ferguson poche ore prima a Southampton. L'avversario di turno, tuttavia, non è affatto dei più comodi, i Gunners devono affrontare la trasferta di Manchester contro il City che, da quella stagione aveva lasciato il vecchio Main Road per trasferirsi al City of Manchester Stadium, oggi conosciuto come Etihad Stadium. I Citizens in quella stagione erano allenati da Kevin Keegan ed avevano riempito la rosa di giocatori di grande nome ma già in parabola discendente come il terzino sinistro ex Bayern Tarnat, il centrocampista olandese Bosvelt e soprattutto Nicolas Anelka in attacco. A rendere ancora più interessante il confronto è che le due squadre sono divise da 2 punti dopo 3 giornate (punteggio pieno per l'Arsenal, 7 punti per il City), per cui la vincente del match di troverebbe da sola in vetta alla classifica.

Come si evince dalla grafica, le due formazioni tendono ad essere abbastanza speculari, in realtà lo schieramento del City è più assimilabile ad un 4-2-3-1 asimmetrico, con Sibierski che gioca alle spalle di Anelka e Sinclair che gioca più vicino al centravanti francese con Barton che gli copre le spalle proteggendo anche Tarnat, sul lato destro Wright-Phillips agisce come una tipica ala, il suo duello con Ashley Cole sarà la chiave della sfida.

Il pressing del City isola la difesa dell'Arsenal,
il lancio diventa l'unica soluzione
Come contro l'Everton la parte iniziale di partita vede l'Arsenal giocare con il freno a mano tirato e con molti giocatori che faticano a trovare la posizione giusta in campo, per questo motivo il possesso palla dei Gunners tende ad essere molto piatto, questo anche grazie allo schieramento aggressivo del City che chiude tutti i rifornimenti verso Pires e Ljungberg escludendoli, di fatto, dal gioco e costringendo i centrali difensivi a lanciare lungo dove Henry e Wiltord soffrono il mismatch sulle palle alte contro Distin e Sommeil; in fase offensiva, invece, la squadra di Keegan cerca di sfruttare al meglio le difficoltà difensive dell'Arsenal sulla propria fascia sinistra, con Wright-Phillips che fa letteralmente a pezzi Ashley Cole, così dalle sue iniziative partono diverse opportunità sventate con affanno dalla difesa dei Gunners. Questo atteggiamento è quello che permette al City di trovare il goal del vantaggio dopo appena 10 minuti grazie ad un autogoal di Lauren che viene mandato in confusione dalla pressione di Sinclair alle sue spalle e, nel tentativo di rinviare, manda il pallone alle spalle di Lehmann.
La strategia del City rende la partita molto godibile e si gioca in un grande battere e levare, insomma una vera partita di Premier, tuttavia le battaglie di transizioni non sono proprio il pane della formazione di Wenger, soprattutto in fase di non possesso e, di fatto, nel primo tempo, l'unico tiro in porta dei Gunners arriva tramite un tiro da fuori area di Pires facilmente bloccato da David Seaman (ripudiato pochi mesi prima da Wenger per lasciar spazio a Lehmann).

Nel secondo tempo le cose cambiano subito, in quanto i movimenti della squadra di Wenger cominciano a mandare a vuoto i meccanismi di pressione del City, così dallo sviluppo di una rimessa laterale dopo pochi secondi dal fischio d'inizio del secondo tempo, una discesa di Ashley Cole innescata da un filtrante di Pires non viene intercettata dalla difesa del City e permette al terzino inglese di servire Wiltord a centro area lasciato solo dalla mancata reattività dei centrali difensivi.

Un esempio delle variazioni tattiche dell'Arsenal lo vediamo in questa immagine: sia Ljungberg che Pires si accentrano e sono orientati per ricevere il pallone da Lauren, i quattro centrocampisti del City accorciano, alle loro spalle Wiltord si apre per creare un'ulteriore linea di passaggio e far aprire la linea difensiva del City, dall'altro lato l'ampiezza la da Ashley Cole che parte alle spalle di Wright-Phillips, mentre Vieira ed Henry (fuori dall'inquadratura) sono pronti a sfruttare lo spazio tra le linee che si è creato e generare un attacco pericolose fronte alla porta, da una situazione di questo tipo nasceranno le principali azione dell'Arsenal del secondo tempo e soprattutto permetterà all'Arsenal di recuperare più in alto la palla e a costringere il City ad isolare Anelka li davanti tra Keown e Traorè.
Il posizionamento alto di Vieira e largo di Wiltord è quello che porterà all'azione del goal che ribalta la partita, con Wiltord che intercetta un disimpegno di Tarnat con Vieira che lancia in verticale lo stesso francese che viene anticipato da un'uscita incerta di Seaman che fa carambolare il pallone sui piedi di Ljungberg che deposita il pallone in rete. Trovato il vantaggio l'Arsenal controlla il match complice la fatica che non permette al City di mantenere la stessa intensità del primo tempo, i cambi a disposizione di Keegan non sono sufficienti a cambiare il corso della partita, non ostante l'ovazione del pubblico per l'ingresso in campo di Robbie Fowler al posto di un esausto Wright-Phillips, l'ingresso di Tiatto e Berkovic aumenta solamente il tasso di fumosità dei Citizens mentre Wenger consolida risultato e schieramento sostituendo Wiltord con Bergkamp, Ljungberg con Parlour e Pires con Edu.

Con questa vittoria l'Arsenal mostra di saper uscire con scioltezza da situazioni di partita difficili  come dopo il primo tempo di questa sfida ed il premio è il primo posto solitario in classifica a +3 dallo United.

MANCHESTER UNITED - ARSENAL, LA PARTITA SPORCA

La trasferta della sesta giornata ad Old Trafford arriva dopo un momento difficile per l'Arsenal dopo la pausa per le nazionali, infatti arriva il pareggio interno contro il Portsmouth che, però, non pregiudica il primo posto in classifica (potenzialmente solo il Chelsea, che aveva una partita in meno, poteva raggiungerli in vetta), e soprattutto arriva la sconfitta pesante contro l'Inter in Champions (sconfitta che poi verrà vendicata con gli interessi al ritorno a San Siro), per cui la sfida alla squadra di Ferguson è un test di tenuta mentale per la squadra di Wenger in quella che verrà ricordata come "The Battle of Old Trafford".

Dalle scelte effettuate in formazione i timori di Wenger sono sintetizzati dalla rinuncia a Pires (gioca Parlour dal primo minuto), l'altra novità è lo schieramento dal primo minuto di Bergkamp al posto di Wiltord. Rispetto alla grafica, il Manchester United si schiera con un 4-1-4-1 dove Giggs agisce sì prevalentemente sul lato sinistro ma ha il compito di stare il più vicino possibile e Van Nistelrooy, dall'altro lato Cristiano Ronaldo fa l'ala destra classica ereditando la posizione da Beckham, ceduto nel corso dell'estate al Real Madrid. Non mi dilungherò oltre su questa partita per evitare di sovrappormi ad analisi su questo match già fatte in passato con la giusta dovizia di particolari, in particolare segnalo l'articolo a riguardo di Daniele V. Morrone su l'Ultimo Uomo.

Ciò che vorrei far notare relativamente a questo match è che questo Arsenal di Wenger, rispetto alle sue versioni successive, belle ma non vincenti, aveva la capacità di reggere il confronto con gli avversari anche dal punto di vista fisico ed agonistico, sotto questo aspetto la presenza di gente come Tourè, Gilberto e soprattutto Vieira con la sua forza fisica ed i suoi interventi al limite dell'intimidatorio (verrà espulso in questa partita per un fallo di reazione su Van Nistelrooy) hanno permesso ai Gunners di uscire indenni da sfide come quella dell'Old Trafford dove, invece, negli anni successivi, usciranno con sonore sconfitte; quella partita fu uno spartiacque della stagione perché, di fatto, tolse allo United la convinzione di essere superiore all'Arsenal non ostante l'addio di Beckham, ci vorranno un paio d'anni, con l'arrivo di Rooney ed il ricambio generazionale della squadra del Treble a riportare lo United in vetta alla Premier.


CHELSEA-ARSENAL, L'ALLUNGO DECISIVO

Dopo la fine del periodo festivo, l'Arsenal inizia tra gennaio e marzo la cavalcata verso il titolo, una serie di vittorie permettono ai Gunners di allungare in testa, fino a presentarsi a fine febbraio a Stamford Bridge con 6 punti di vantaggio sulla squadra di Ranieri e 7 sul Manchester United, per questo motivo la partita del 21 febbraio diventa l'ultima chance per i Blues di rimettersi in corsa per contendere il titolo.

In questa occasione sono due le pedine mancanti per Wenger, la prima è Ljungberg che viene sostituito da Edu, la seconda è Ashley Cole che viene sostituito da Clichy; mentre quest'ultimo cambio non muta le funzioni, con l'ingresso di Edu si scombinano un po' le posizioni a metà campo, con Gilberto che tende ad agire largo a destra, mentre Edu gioca accanto a Vieira in mezzo; dall'altra parte Ranieri schiera il Chelsea con un attacco formato da Gudjhonsen ed Adrian Mutu ed un centrocampo con Geremi defilato a sinistra e Parker defilato a destra come lati di un rombo il cui vertice basso era Makelele e quello più avanzato Lampard.

Le fasi iniziali della partita sono giocate ad un ritmo vertiginoso, il Chelsea ci mette 30 secondi a sbloccare la partita, tutto parte da una palla rubata da Geremi a centrocampo, il suo cross sul secondo palo trova libero Gudjhionsen che batte Lehmann; le fasi successive si giocano ancora con capovolgimenti di fronte dettati dalla volontà dell'Arsenal di rimettere subito la partita in parità ed il Chelsea che non perde tempo a cercare di verticalizzare utilizzando i movimenti laterali delle due punte che la linea difensiva fatica a leggere.

Non è quindi un caso che, come si evince dalla grafica a lato, dopo 12 minuti di gara si contano 6 tiri in totale, ossia un tiro in media ogni 2 minuti, di questi 1 per parte ha centrato lo specchio della porta: il goal di Gudjhonsen ed un tiro da fuori area di Campbell sugli sviluppi di un calcio d'angolo facilmente bloccato da Sullivan.
Superata questa fase di battere e levare sale in cattedra Dennis Bergkamp: i suoi movimenti a venire incontro e la sua qualità nel gestire e muovere la palla diventano il faro dell'Arsenal e mettono a nudo le distanze tra la difesa ed il centrocampo del Chelsea.

Il goal del pareggio nasce da una palla recuperata a centrocampo ed immediatamente scaricata sull'olandese che ci mette due secondi a capire che Terry lo ha seguito lasciando sguarnito lo spazio alle sue spalle che viene attaccato dal taglio di Pires che si porta via Gallas, sullo spazio lasciato dal difensore francese si butta dentro Vieira che l'olandese serve con una verticalizzazione eseguita nei tempi perfetti lasciando il capitano dell'Arsenal solo davanti a Sullivan trafiggendolo.

Il goal del 2-1 arriva invece da un calcio d'angolo in cui Sullivan esce a vuoto e sul secondo palo dopo una serie di rimpalli il pallone finisce sui piedi di Edu che la deposita in rete, tutto questo nel giro di 6 minuti, tanti sono bastati ai Gunners per ribaltare totalmente l'inerzia della partita.

Il resto della partita va avanti con il Chelsea che cerca con il movimento delle sue punte di mettere in difficoltà la difesa dell'Arsenal ma manca spesso e volentieri il sostegno centrale, così le combinazioni tra Mutu e Gudjhonsen finiscono per essere fagocitate da Tourè e Cambell. La svolta decisiva della partita arriva al 60' con Gudjhonsen che lascia il Chelsea in 10 per un doppio giallo (il primo lo aveva preso per una ridicola simulazione nel primo tempo), da quel momento l'Arsenal sfrutta la superiorità numerica per tenere palla e tenere il gioco lontano dalla propria metà campo; Ranieri tenta di cambiare le sorti della partita rimescolando l'attacco inserendo Hasselbaink al posto di Mutu a fare da riferimento centrale e Joe Cole e Gronkjaer, subentrati a Cole e Parker, ad assisterlo partendo dall'esterno, ma l'avvicendamento non cambia la storia della partita anche perché il Chelsea sembra essere esausto e così getta la spugna.

Con questa vittoria i Gunners trovano l'allungo decisivo in classifica, il distacco sullo United secondo è pari a 7 punti, mentre il Chelsea scende a -9, insomma l'Arsenal esce da Stamford Bridge con il titolo quasi in tasca, per il Chelsea la vendetta arriverà poco più di un mese dopo quando eliminerà la squadra di Wenger dai quarti di finale di Champions.

ARSENAL-LIVERPOOL, LA VITTORIA DELLA SICUREZZA

Siamo giunti al secondo periodo trafficato di partite nella stagione inglese, ossia il periodo di Pasqua dove generalmente le squadre affrontano un turno di campionato tra venerdì e sabato ed un altro il giorno di Pasquetta, a questo periodo (che coincide con la fase decisiva della stagione) l'Arsenal si presenta con un vantaggio rassicurante su Chelsea e Manchester United ma reduce da due sconfitte contro le sue due inseguitrici in classifica che l'hanno eliminato sia dalla Fa Cup che dalla Champions League, alzando, dunque, la pressione sulla squadra di Wenger in campionato al fine di non vedersi sfuggire, a seguito di una spirale negativa, anche una Premier che sembra in pugno; per questo motivo la sfida del venerdì di Pasqua alla 31° giornata contro il Liverpool di Houllier (in lotta con Newscaste, Aston Villa ed il sorprendente Charlton per il quarto posto disponibile in Champions League) diventa il crocevia definitivo per i Gunners per mettere le mani sul campionato o per andare incontro ai fantasmi del fallimento.

Le due squadre si schierano sul terreno di gioco in maniera speculare con un 4-4-2 molto flessibile nei ruoli da ambo le parti: l'Arsenal è nel suo assetto base con Bergkamp a supporto di Henry, dall'altra parte il Liverpool risponde con la compresenza di Diouf, Kewell e la coppia d'attacco Heskey-Owen, l'australiano è un esterno sinistro solo nominale, il suo compito è quello di accentrarsi per lasciare spazio alle incursioni di Riise a sinistra, dall'altra parte Carragher protegge Diouf dalle discese di Cole.

Come ci è capitato spesso di vedere in queste partite analizzate, l'Arsenal inizia ancora in maniera contratta, Vieira nel giro di 5 minuti perde 2 palloni banali a centrocampo ed innesca l'attacco del Liverpool, così sugli sviluppi del terzo calcio d'angolo a favore nel giro di 5 minuti, Gerrard lasciato libero sul secondo palo (andava ancora di moda per le difese tenere due uomini sui pali) gioca di sponda per Hyppia che deposita in rete praticamente a porta vuota.
La pressione immediata su Hamann da parte di Gilberto e Pires
 da cui scaturisce il goal dell' 1-1
Il goal subito suona da sveglia per gli uomini di Wenger che iniziano ad alzare il ritmo e ad aggredire con un grande ritmo sia in fase di possesso, dove le continue rotazioni dei centrocampisti e dei due attaccanti tolgono ogni punto di riferimento alla difesa del Liverpool, sia in fase di non possesso, dove ad ogni palla persa seguiva immediatamente un tentativo aggressivo di riconquista del pallone; in entrambe le fasi il grande protagonista era Patrick Vieira, letteralmente onnipresente sul terreno di  gioco; come si evince dall'immagine, la strategia di grande pressione porta al pareggio al 31' con Gilberto Silva che strappa il pallone a metà campo ad Hamann in uscita del pallone, che viene raccolto da Pires il quale vede la difesa dei Reds fuori posizione a causa della palla persa e lancia Henry alle spalle dei difensori e trafigge Dudek anticipandone l'uscita. Il goal del pareggio allenta la pressione dell'Arsenal, evidentemente ancora non avevano chiaro il valore di Steven Gerrard che, senza pressione a metà campo, inventa una verticalizzazione visionaria dal nulla per Owen che sbuca tra Campbell e Lehmann e riporta il Liverpool avanti a 3' dall'intervallo.

L'atteggiamento dell'Arsenal dopo l'intervallo è quello di una squadra che vuole prendersi i 3 punti ed il titolo, la squadra lascia negli spogliatoi le paure e le incertezze derivanti dalla rete di Owen subita poco prima dell'intervallo e, con qualche aggiustamento nei movimenti offensivi, ribalta la partita in 5 minuti ed il centro della scena se lo prende Thierry Henry: Wenger durante l'intervallo gli chiede di partire più defilato per permettere a Ljungberg e Pires di prendersi gli spazi centrali, lui prima raccoglie da quella posizione un passaggio di Gilberto Silva, accelera e disordina la linea difensiva del Liverpool che non sa se uscire su di lui o chiudere sugli inserimenti di Ljungberg e Pires, restano a metà strada, allora Henry scarica su Ljungberg che, a sua volta, di prima, scarica alle spalle della difesa dove si inserisce Pires che batte Dudek: passa appena un minuto ed ancora Henry raccoglie palla dalla stessa posizione di prima, accelera nuovamente, questa volta la linea difensiva del Liverpool sceglie di arretrare e lo aspetta, lui non se lo fa dire due volte, accelera e salta prima Hamann e poi Carragher con irrisoria facilità per poi piazzarla sul palo lungo bruciando l'uscita bassa di Dudek: al 51' l'Arsenal ha ribaltato la partita e la relativa inerzia.



Trovato il goal del vantaggio per l'Arsenal arriva il momento di mettere in controllo la partita e ci riesce rendendo assolutamente inoffensivo il Liverpool, a nulla serve la scelta di Houllier di invertire Diouf e Kewell ed alzare Gerrard in posizione più avanzata rispetto ad Hamann, il futuro capitano dei Reds viene seguito quasi a uomo da Vieira, mentre il tedesco risulta troppo compassato e perde diversi palloni che vengono sfruttati dall'Arsenal per lanciarsi a rete sfruttando l'allungamento delle distanze tra i reparti del Liverpool che espongono i centrali difensivi ai loro limiti in termini di passo rispetto ad Henry e Ljungberg; in questo modo arriva al 78' il goal della tripletta di Henry che chiude la partita.

Finisce dunque 4-2, l'Arsenal supera l'ultimo test ed i fantasmi che aleggiavano sulla squadra dopo lo svantaggio all'intervallo e, complice, il pareggio del Chelsea contro il Middlesbrough, di fatto questo venerdì di Pasqua fa iniziare il conto alla rovescia per il titolo che arriva a 3 giornate dalla fine grazie al pareggio a White Hart Lane a casa dei nemici storici del Tottenham. All'ultima giornata, un'altra vittoria di rimonta, questa volta sul Leicester, permette alla squadra di Wenger di chiudere il campionato da imbattuta, impresa mai riuscita in Premier League, e prima che si chiamasse così, l'impresa riuscì solamente al Preston nella stagione 1888-1889, ossia due secoli prima.

CONCLUSIONE DEL CICLO


L'imbattibilità si estenderà fino alla decima giornata del campionato successivo, quando in un'altra battaglia ad Old Trafford (questa volta ribattezzata la battaglia delle pizze, o Pizzagate per via di una rissa post-partita negli spogliatoi che culminò con un pezzo di pizza lanciato verso Sir Alex Ferguson) lo United si impose per 2-0 sui Gunners con le reti di Van Nistelrooy e Rooney e fermò a 49 la striscia di imbattibilità della squadra di Wenger; quella partita orientò la stagione dalla parte del Chelsea di Mourinho e decretò l'inizio della fine del ciclo di quella squadra che, comunque, culminerà con una finale di Champions persa contro il Barcellona nel 2006. 

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