mercoledì 15 gennaio 2020

Giochisti, risultatisti, contropiede, monocultura tecnologia ed altre creature fantastiche

La diatriba sul contropiede scatenata dallo scambio Conte-Capello ha aperto un vaso di Pandora sul rapporto tra vecchie e nuove generazioni calcistiche che va oltre la semplice definizione di contropiede e ripartenza. Si tratta, ahimè, di un discorso estendibile anche a tematiche extra-sportive, ossia la forte contrapposizione tra idee nuove ed idee moderne; le generazioni cresciute fino all'inizio degli anni 90 hanno vissuto un modello di vita molto diverso da quello attuale e faticano a trattenere il disagio nei modelli di vita del XXI Secolo. I gap generazionali sono sempre esistiti, tuttavia in passato il conflitto era risolto con le nuove generazioni che prendevano possesso progressivamente delle stanze dei bottoni e le vecchie generazioni che altrettanto progressivamente si mettevano da parte previo accesso al sistema pensionistico.

Il meccanismo si è bloccato in questo secolo: le generazioni che avrebbero dovuto cedere il passo ai millennials si trovano ad occupare tutti i posti di massima visibilità sia a livello politico (lo stesso Salvini ha costruito il proprio modello politico utilizzando come base politica le classi di età più avanzate) che a livello giornalistico (avete memoria di salotti televisivi con giornalisti nati dal 1980 in poi?); in particolare, la stampa sportiva cartacea sta vedendo erodersi progressivamente le proprie quote di mercato imputando ciò all'incedere del digitale, ma in realtà la causa risiede nei contenuti, con i giornali in mano ad una vecchia generazione di giornalisti non più in grado di leggere gli accadimenti dei nostri giorni e che continuano a misurare e commentare gli eventi con gli stessi occhi con cui li raccontavano 20/30 anni fa (dove, ad onor del vero, lo facevano in maniera eccellente).

A tale scopo ho voluto prendere come riferimento degli articoli pubblicati nelle ultime due settimane dalle due principali testate giornalistiche sportive nazionali, che ci raccontano quanto teorizzato sopra, ossia interviste ed analisi infarinate di un continuo e stucchevole rimando al passato, l'idolatria verso l'approccio al calcio all'italiana basato su difesa e contropiede per il quale siamo stati conosciuti per decenni a livello europeo e che questa vecchia classe giornalistica vorrebbe restaurare in nome di un calcio e di un mondo che non esiste più ma che è l'unico mondo che, forse, riescono a comprendere.

IL DOPPIO ARTICOLO DEL CORRIERE DELLO SPORT (8 GENNAIO 2020)


Una intervista di Ivan Zazzaroni con Gianni Mura ed un editoriale di Alberto Polverosi mettono a nudo l'età anagrafica avanzata dei protagonisti, due articoli che esaltano il calcio degli anni passati e considerano come oggetto del diavolo l'evoluzione tecnologica che accompagna le nostre vite e, conseguentemente, anche lo sport più seguito del mondo; un dialogo, quello tra Zazzaroni e Mura, che trasuda tutta l'inadeguatezza degli interlocutori a vivere il mondo in cui si trovano oggi e che somiglia tantissimo ad un dialogo tra due pensionati in un parco, con la differenza che questi ultimi sono consapevoli del fatto che hanno vissuto le loro vite e se le raccontano con un misto di nostalgia e ammirazione, accettando il fatto di lasciare spazio alle generazioni future ed al progresso del mondo, qui invece i protagonisti sono persone che occupano gli spazi più in vista delle principali testate giornalistiche italiane, ben lungi dunque dall'idea di cedere al passo alle giovani generazioni meglio in grado di leggere gli accadimenti di questo secolo.

Prima affermazione di Gianni Mura: "Eppure il contropiede è cinquant'anni di calcio della nostra Nazionale. Ci abbiamo vinto un Mondiale. Non il penultimo, l'ultimo"


Davvero crede che abbiamo vinto quel Mondiale con difesa e contropiede? Nella partita contro la Germania abbiamo giocato colpo su colpo, attaccava l'Italia così come attaccava la Germania, la mentalità di entrambe le squadre era chiaramente offensiva, l'Italia si è presentata al supplementare con un 4-2-4 con Iaquinta-Totti-Gilardino-Del Piero in attacco più Pirlo a centrocampo, il fatto di aver chiuso il Mondiale con 2 soli goal subiti (un autogol di Zaccardo ed un rigore in finale) non implica necessariamente aver giocato un calcio difensivo e di contropiede, cosa ben diversa dall'essere chiusi nella metà campo quando l'avversario preme (vedi secondo tempo contro l'Ucraina e buona parte della finale contro la Francia), inoltre permettetemi di farvi riscontrare che le partite più iconiche a livello internazionale delle squadra azzurra sono un 4-3 (la partita del secolo contro la Germania a Messico 1970) ed un 3-2 contro il Brasile ai Mondiali di Spagna, quindi non proprio delle partite da 1-0 e tutti chiusi dietro.

Seconda affermazione di Gianni Mura: "Sarebbe giunto il momento di ribellarsi alla logica industriale della monocultura tecnologica per tornare alla sapienza del calcio"


Tecnologia e sapienza non sono due elementi contrapposti tra di loro, questa affermazione tradisce il punto alla base di tutto, ossia che esiste una generazione che ha lavorato in passato con poca tecnologia e pochi mezzi a disposizione, mostrando da un lato di sapersi arrangiare ma allo stesso tempo ha sfruttato questa mancanza di mezzi per portare il racconto calcistico e sportivo su un piano letterario che tuttora apprezziamo ma che, nel calcio di oggi, toglie la complessità data da nuove situazioni che stanno cambiando il calcio. La tecnologia oggi è al servizio della sapienza, oggi è sapiente chi sa usare i tanti dati che la tecnologia ci permette di visualizzare (tutt'altro di "un milione di informazioni inutili" come afferma nell'intervista ), anzi la tecnologia rende più accessibile la sapienza del gioco anche a chi non può entrare in uno stadio con un accredito da giornalista e permette a chi vede il gioco di potersi svincolare dai giudizi dati dai pochi eletti che in passato avevano accesso alle partite. Insomma cari miei nostalgici, di sapienza del calcio non esiste più solo quella del racconto, ma esiste anche quella dell'analisi e dell'osservazione più dettagliata del gioco, cosa resa possibile dal fatto che tutte le partite sono accessibili per tutti ed il filtro del giornalista che racconta è solo un contorno di cui l'osservatore può tranquillamente decidere di farne a meno o può usare per avere un confronto.

L'articolo di Polverosi "Vecchio è ancora bello"


Quanto dicevamo sopra sull'incapacità della vecchia generazione di giornalisti di capire il nostro calcio è tutto sintetizzato nell'articolo in oggetto. Una lista clamorosa di sciocchezze sul calcio all'italiana, sul contropiede e sulla tradizione dei nostri tecnici.

Il tutto parte, come indicato in premessa, dalla lite Capello-Conte sul tema contropiede-ripartenze, come Capello anche Polverosi si ostina a definire l'Inter di Conte come una squadra contropiedista, che sta dietro e riparte, eppure è abbastanza evidente dall'azione del secondo goal di Lukaku contro il Napoli e la sua corsa di 60 metri celebrata come ode al contropiede che di tutto si tratta tranne che di contropiede ma sviluppo di un azione costruita dal basso, per cui è ovvio che Conte possa essersi risentito nel vedere ridotto questo tipo di lavoro a mero contropiede.



Nel suo stesso editoriale pensa bene di affermare che rifiutare di ammettere di giocare in contropiede significhi ripudiare la scuola italiana dei Pozzo, Valcareggi, Bearzot, Trap etc.. Il punto è completamente sbagliato perché nessuno vuole delegittimare la scuola dell' ancient regime del nostro calcio, ma era un idea di calcio sostenibile in quegli anni, dove le posizioni in campo erano molto più rigide rendendo, dunque, molto più rispondente un sistema di marcature a uomo dove il contesto delle partite era determinato dagli 1 contro 1 individuali anziché particolari sovrastrutture tattiche; negli ultimi anni la struttura fisica ed atletica dei calciatori (guardate le differenze fisiche tra i calciatori degli anni 70 e 80 con quelli a noi contemporanei) ha posto nuove esigenze nel modo di giocare le partite, per questo motivo un calcio con marcature a uomo e tutti in difesa e palla in avanti non è più sostenibile in quanto richiederebbe un dispendio fisico maggiore, infatti le squadre che oggi sono paradigma di un concetto simile a quello della vecchia scuola italiana (il Leicester di Ranieri nel 2016, l'Atletico Madrid di Simeone, l'attuale Parma di D'Aversa) lo fanno basandosi sul concetto di controllo degli spazi e non certo sui sistemi rigidi ad uomo.

Capolavoro finale dell'editoriale di Polverosi è quello di definire contropiede niente di meno che il calcio di Jurgen Klopp, un calcio costruito proprio con un concetto opposto, ossia stare più tempo possibile lontano dalla propria metà campo; tra l'altro Polverosi utilizza anche correttamente il termine verticalizzazione per definire il calcio di Klopp, eppure riesce a confonderlo con contropiede e/o ripartenza, tanto che afferma letteralmente in coda al suo editoriale: "Chi punta al contropiede offre le stesse emozioni di chi sceglie il possesso palla". Dunque secondo Polverosi esistono due sole categorie di gioco del calcio: chi fa possesso palla solo per il gusto di tenere palla, tutto il resto è contropiede; la limitatezza di una visione del calcio così manichea non rende giustizia al lavoro dei tecnici contemporanei, i cui principi sono molto più sfumati rispetto a quanto stabilito da Polverosi e dai seguaci di questo approccio passatista del calcio. Il calcio di Sarri e Guardiola, per loro stessa spiegazione (concetto rimarcato dal tecnico della Juventus nel post-partita di Roma-Juventus ai microfoni di Sky) usa il possesso palla non come strumento fine a se stesso ma come strategia per disordinare l'avversario e trovare giocatori liberi in posizioni di campo più pericolose (lo stesso Sarri domenica sera si è lamentato della sua squadra quando ha fatto possesso con il solo scopo di gestire la palla senza il proposito di avanzarla in zone più pericolose), stesso identico presupposto che guida il gioco di Klopp che usa invece come arma per stazionare nella metà campo avversaria il pressing sulla seconda palla dopo una palla mandata in avanti saltando i centrocampisti centrali.

I FOCUS TECNICI DELLA GAZZETTA DELLO SPORT (11 E 15 GENNAIO 2020)


"PRIMO NON PRENDERLE" DI G.B. OLIVERO (11 GENNAIO 2020)




L'articolo in oggetto pensa bene di manipolare dei numeri per arrivare ad una conclusione per la quale per vincere non bisogna prendere goal. Il concetto non fa una piega, lo definirei quasi lapalissiano, se guardiamo freddamente al numero in termini assoluti, anche in via teorica è possibile affermare senza troppi margini di smentita che se non si prende goal le possibilità di vittoria aumentano, sopratutto perché se non prendi goal l'unico scenario peggiore rispetto alla vittoria è il pareggio per 0-0 (usando il dato nudo e crudo esposto nell'articolo il 72,53% delle volte negli anni '10  la squadra che non ha preso goal ha vinto nei cinque massimi campionati).
E così dall'articolo emerge che "I numeri freddi ma estremamente chiari consentono un'analisi che coinvolge inevitabilmente giochisti e risultatisti e restituisce un po' di dignità al vecchio calcio all'italiana tanto vituperato chissà poi perché [...] La migliore difesa vince il campionato semplicemente perché difendendo bene e concedendo poco si vince il maggior numero di partite. Ma l'assioma principale è probabilmente un altro: non è vero che vincere 2-1 sia filosoficamente uguale a vincere 1-0" tutto ciò argomentato sempre da quei freddi numeri i quali affermano che chi ha segnato ha vinto solo nel 51,51% dei casi nello stesso periodo; manipolare in questa maniera i numeri è un esercizio che si commenta da solo a mio parere, soprattutto alla luce del fatto che gli unici numeri all'interno dell'analisi che possono essere oggetto di un'interpretazione sono quelli riferiti ai singoli allenatori, laddove conoscendone i concetti ed i principi di riferimento si può dare un accezione più critica a tali numeri.



Dunque, dal dato suddiviso per ciascun allenatore si evince come Guardiola abbia la percentuale di vittorie maggiore senza subire goal rispetto a tutti gli altri allenatori oggetto del confronto (91% contro il 90% di Allegri e Zidane), ma soprattutto a sbugiardare le teorie di Olivero ci viene incontro il dato relativo alle partite vinte subendo goal, dove l'attuale tecnico del City ha raccolto il 65% di vittorie staccando la concorrenza senza alcun tipo di discussione, specie proprio sui tecnici che applicano un concetto calcistico opposto al suo (Allegri 42%, Simeone poco meno del 35%) dimostrando come un approccio pro-attivo e votato al dominio del gioco produca vittorie sia per 1-0 per 2-1 senza dover necessariamente scegliere la filosofia per l'uno o per l'altro punteggio, cosa che evidentemente fanno, invece, i tecnici come Allegri e Simeone che sposano la filosofia di Olivero dimostrando loro di vedere abbassate drasticamente le chance di vittoria se subiscono una rete. Per cui mi chiedo cui prodest? questo abbarbicarsi di Olivero su teorie chiaramente prive di fondamento e basate su numeri abbastanza fumosi.

"GIOCO AL RIBASSO" DI ALEX FROSIO (15 GENNAIO 2020)


In maniera ridondante rispetto al focus pubblicato sullo stesso giornale pochi giorni prima, i giornalisti della Rosea continuano con la dicotomia giochisti-risultatisti, ed anche questa volta decidono di manipolare i numeri a proprio piacimento rinunciando (a questo punto inizio a pensare che esistano delle linee-guida dell'Ordine dei Giornalisti a riguardo) ad osservare le cose nella sua complessità.

L'articolo parte con i soliti strali verso il cosiddetto "giochismo", come se impostare una squadra ad esercitare supremazia tramite il possesso palla fosse un mero esercizio di stile e non un sistema necessario a muovere il pallone in maniera paziente per trovare lo spazio giusto ad arrivare in porta il più facilmente possibile; sostanzialmente Frosio si limita ad elencare gli allenatori fin qui esonerati classificandoli tutti come "allenatori intenzionati ad applicare uno stile ben preciso, un calcio raffinato e manovriero" riconducendo Di Francesco, Andreazzoli, Thiago Motta, Giampaolo e niente meno che Ancelotti tutti sotto la stessa categoria per poi saltare di palo in frasca affermando che "E nel frattempo si riscopre il caro vecchio calcio pragmatico" esaltando il calcio senza fronzoli (per sua interpretazione) di Ranieri, D'Aversa e Gotti (quest'ultimo addirittura esaltato per 3 vittorie consecutive senza aver mosso di una virgola i concetti del suo predecessore Tudor, esonerato dopo aver preso 11 goal in 2 partite non ostante un calcio difensivo, ma di questo Frosio se ne dimentica); insomma nessuna sfumatura, solo distinzione tra i cattivi (i giochisti) ed i buoni (i risultatisti), una forzatura talmente forte da costringere lo stesso Frosio a dei funambolismi linguistici per non auto sbugiardare la sua teoria quando c'è da riconoscere che l'allenatore che, nella sua divisione del mondo, è un giochista si trovi in testa alla classifica del campionato con il miglior dato di possesso palla e passaggi nella trequarti avversaria affermando, in barba agli stessi numeri, che la Juventus è "Ancora poco sarrista e ancora molto allegriana", a questo si aggiunge che le prime cinque posizione in classifica della serie A sono occupate da squadra allenate da allenatori che propongono non certo un calcio reattivo, un dato che, nell'articolo, è emarginato ad una chiosa finale. 

A venirmi incontro su come definire questo atteggiamento della stampa cartacea italiana è stato Daniele Manusia che, proprio oggi ha dedicato un articolo a riguardo su l'Ultimo Uomo.



Dopo questo viaggio all'interno del reazionarismo del giornalismo sportivo italiano e dopo averlo smontato pezzo per pezzo mi resta una sola critica alle nuove generazioni che operano nel calcio e che raccontano il calcio (includendo anche il sottoscritto), attenzione a non parlarci addosso ma piuttosto cerchiamo di divulgare questi nuovi concetti ad un pubblico il maggiormente ampio possibile, il calcio e la vita non sono una cosa semplice (a dispetto di ciò che pensa Allegri e/o il suo ghostwriter) ma la sua complessità va scomposta e resa fruibile a tutti, altrimenti diventa per pochi eletti (come, invece, Gianni Mura correttamente affermava nell'intervista di cui sopra, in relazione all'adanismo)

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