E 4 anni e mezzo dopo quella notta di San Siro contro la Svezia, come in un famoso film degli anni '90, mi verrebbe da dire Milano-Palermo solo andata; questa volta è stata la Macedonia del Nord ad estrometterci dal Mondiale, e per la prima volta nella storia del calcio italiano non partecipiamo per la seconda volta di fila alla massima competizione per nazionali. Se volevamo una prova del fatto che il calcio a livello globale si è evoluto e l'Italia è rimasta indietro, ora abbiamo anche un risultato che mette tutti di fronte alle proprie colpe.
Fatta questa premessa che merita di essere approfondita in altre sedi, passiamo ad analizzare la partita di ieri sera al "Barbera" in cui l'Italia è andata a schiantarsi contro la difesa della squadra macedone e contro i propri limiti a livello individuale, che hanno reso poco efficace ed efficiente il sistema di gioco che Mancini ha implementato dal suo arrivo a Coverciano nel 2018.
E' STATA LA SOLITA ITALIA DI MANCINI
Il lavoro di Mancini in questi anni è stato in continuità con l'imprinting dato dal sistema Viscidi a Coverciano, con il concetto dei 5 costruttori e dei 5 invasori che non ha mai abbandonato il modo di giocare della nazionale in questi anni. Ed anche ieri sera non è stato da meno.
Il sistema di costruzione con i 3 difensori ed i 2 centrocampisti è stato confermato anche in questa partita decisiva ed è la parte della struttura che ha funzionato meglio anche perché ha permesso di poter impostare il gioco nonostante la scelta dell'allenatore macedone di mettere Bardhi sulle tracce di Jorginho per tutta la partita. Infatti non essendo disponibile passare dal giocatore del Chelsea, il gioco è transitato dai piedi di Florenzi e di Verratti che hanno chiuso la partita con rispettivamente 66 e 93 passaggi effettuati.
Nonostante la clamorosa sconfitta, la prestazione del centrocampista del PSG è stata da grande trascinatore, dando dimostrazione di essere senza ombra di dubbio il miglior calciatore di scuola italiana oggi esistente, non è un caso che ciò sia stato reso possibile dall'aver respirato la stessa aria di grandi campioni e di aver disputato diverse partite di alto livello. Una riflessione da fare per molti giocatori italiani dovrebbe essere quella di mettersi in discussione ed andare a confrontarsi con realtà fuori dall'Italia, dove al momento le metodologie di lavoro sono oggettivamente migliori (quanto meno a livello di club). Verratti ha scelto di andare in Francia dopo aver vinto il campionato di serie B a Pescara, preferendo questa opzione rispetto a quella di rischiare di finire in un club di serie A che ne avrebbe tardato la crescita scaricandone l'onere su un altro club in cui lo avrebbe mandato in prestito, invece a Parigi Verratti è stato subito schierato titolare in campionato ed in Champions, dove circondato da tanti campioni al suo fianco è cresciuto fino al punto di diventare un centrocampista di livello mondiale. Ma purtroppo la sua prestazione sontuosa di ieri non è bastata ad aiutare gli azzurri a portare a casa la vittoria ma questo inciso per quel che mi riguarda è giusto da sottolineare.
Come si evince dalle posizioni medie, invece, possiamo vedere come la struttura della squadra di Mancini sia stata quella che abbiamo imparato a conoscere in questi anni, con il 3+2 in costruzione (con Verratti che gradualmente ha avanzato la propria posizione conducendo palla) ed i cinque canali verticali occupati in maniera asimmetrica da Emerson che da terzino sale a fornire ampiezza a sinistra, Berardi che da posizione di esterno offensivo favorisce l'ampiezza a destra, Insigne e Barella nei mezzi spazi ed Immobile nel corridoio centrale. Nel corso della partita la pendenza dello schieramento si è spostata verso sinistra dove l'Italia cercava di sviluppare gioco con Verratti, Emerson ed Insigne che cercavano di associarsi per poi cercare di servire Immobile o ribaltare il gioco per Berardi sul lato debole. Insomma sulla carta l'Italia ha cercato di fare quello che ha imparato a fare in questi anni di gestione Mancini ma alla fine qualcosa è mancato. Cosa? Proviamo a capirlo proseguendo nell'analisi.
TANTI TIRI, POCHI EXPECTED GOALS
Ed ora è il momento di capire cosa è andato storto: i numeri sono più freddi delle nostre emozioni nel vedere la partita, ma anch'essi possono sviarci se non li ordiniamo nel modo giusto. Un atteggiamento assolutorio nei confronti della squadra ci porterebbe a dire che, beh, l'Italia è andata al tiro 32 volte nel corso della partita, quindi producendo un'enorme mole di gioco; un atteggiamento critico direbbe che l'Italia ha prodotto poco più di 2 xG su quei 32 tiri, che quindi facendo due conti sulla carta del salumiere significherebbe uno scarso 6% di probabilità di trovare il goal in media per ogni tiro, quindi conclusioni di poca qualità, quindi abbiamo giocato male.
Quale delle due posizioni è la più corretta? Numeri alla mano sono corrette entrambe, ma è per questo che i numeri vanno approfonditi e vanno soprattutto confrontati con quanto visto sul campo. Non volendo invitarvi all'atroce esercizio di rivedervi per intero la partita e gli highlights, guardiamo la mappa delle conclusioni effettuate, e guardando la grandezza dei puntini che misurano la pericolosità di ciascuna conclusione, vediamo che sono 4 ad essere più pericolose delle altre e sono l'occasione di Berardi nel primo tempo a porta vuota, le conclusioni ravvicinate di Immobile nel primo tempo e di Berardi nel secondo ribattute in calcio d'angolo dai difensori macedoni, mentre la più importante di tutto forse ce la siamo persi perché già presi dagli improperi per il goal subito da Trajkovski, ossia il colpo di testa di Joao Pedro da dentro l'area piccola (unica conclusione effettuata in quella zona di campo nel corso della partita) terminato fuori, dopo il quale è giunto il fischio finale dell'arbitro Turpin. Insomma il tanto volume di gioco è sembrata la tipica montagna che partorisce il topolino, eppure quel topolino in altre circostanze sarebbe stato sufficiente a portare la vittoria a casa, ma così non è stato.
Le soluzioni per arrivare al tiro le abbiamo cercate ma gli errori commessi e la confusione ha fatto da padrona ogniqualvolta il gioco si spostava negli ultimi 25 metri di campo.
Gli spazi concessi centralmente dalla Macedonia sono stati pochi, per questo motivo l'Italia ha scelto di battezzare un lato per sviluppare l'azione per poi cercare da lì la soluzione giusta per superare quel blocco. Una soluzione poteva essere la rifinitura tramite cross/traversoni/cut-back. Per quanto la palla laterale sulla carta non sia la soluzione più pericolosa per rifinire il gioco, una corretta occupazione dell'area di rigore alzerebbe le possibilità di generare pericoli da queste situazioni, ma come si vede nell'esempio, l'area è occupata sì da 4 uomini ma disposti in maniera piatta, senza sfruttare lo spazio creato dallo schiacciamento della linea difensiva avversaria (vedi area evidenziata).
Anche i palloni alle spalle della linea difensiva potevano essere una soluzione per creare pericoli, magari usando la costruzione per attrarre la squadra macedone qualche metro più in avanti per poi attaccarla con un lancio lungo, come quello di Florenzi in questo esempio a favore di Immobile, ma l'attaccante della Lazio raramente ha mostrato di saper trovare i tempi giusti per lo smarcamento finendo spesso e volentieri ad essere fagocitato dai due centrali difensivi, ed a nulla sono serviti i suoi movimenti ad allargarsi per ricevere palloni giocabili, anzi finiva per aggravare la situazione in quanto sovraccaricava eccessivamente il lato sinistro dell'attacco svuotando totalmente l'area di rigore.
Nel secondo tempo qualche difficoltà in più alla difesa macedone l'ha creata il diverso posizionamento di Berardi che cercava di occupare l'area di rigore con maggiore frequenza anziché restare defilato sulla fascia, lasciando a Barella o a Florenzi l'onere di occuparsi di quel corridoio. Questo esempio mostra chiaramente in quale situazione si trovino i due centrali difensivi Velkovski e Musilu che rischiano di essere infilati da una combinazione tra il giocatore del Sassuolo e quello della Lazio. Questa situazione è quella che porterà alla conclusione alta di Berardi al 58' effettuata da posizione favorevole ma con il piede meno educato, ossia il destro.
Situazione fotocopia come meccanismo è quella di 4 minuti dopo con ancora il taglio del giocatore del Sassuolo alle spalle della linea servito da Verratti, ma Alioski con una giocata da grande terzino segue il movimento e va a chiudere sulla conclusione a botta sicura. Questa e la situazione precedente sono state le circostanze che avrebbero permesso all'Italia di concretizzare il proprio predominio territoriale, la chiave stava nel riuscire a giocare alle spalle della linea difensiva e, nonostante ci siano state diverse situazioni potenziali in cui farlo nel corso della partita, spesso e volentieri i giocatori azzurri hanno ritardato la giocata decisiva per trovare la via della rete.
ANCHE LA PRESTAZIONE IN NON POSSESSO E' STATA VALIDA
Un altro aspetto molto importante e riconoscibile di questo quadriennio manciniano è la fase di non possesso, che ha implementato il principio del recupero immediato del pallone in zone alte del campo ed usare lo schieramento 3+2 in costruzione come rete per assorbire preventivamente i tentativi di contropiede avversario.
Il gioco della Macedonia, infatti, è stato soffocato dalla compattezza dello schieramento azzurro, abile a scivolare sugli esterni e togliere le connessioni tra i terzini e Bardhi, ossia l'asse su cui la formazione macedone ha sempre costruito il proprio gioco negli ultimi anni. Rivedendo le prestazioni della squadra tra l'ultimo Europeo e le partite successive, una costante era quello di muovere il gioco verso Alioski a sinistra per poi connettersi con Bardhi ed Elmas; il giocatore del Napoli era assente per squalifica, per cui spettava al numero 10 macedone l'onere di creare qualcosa in fase offensiva, ma essendo stato sacrificato in marcatura su Jorginho si è visto poco con la palla ed in più l'Italia ha sempre fatto in modo di tenere Alioski isolato, costringendo gli avversari a rinunciare a giocare e affidarsi ai lanci lunghi del portiere Dimitrievski.
Anche l'aggressività nell'andare a recuperare il pallone in alto per schiacciare gli avversari nella propria trequarti è stato un elemento ben eseguito dalla nazionale, certo qualcuno potrebbe obiettare il fatto che fosse il minimo sindacale quello di schiacciare la Macedonia del Nord al limite della propria area di rigore, ma nel calcio di oggi bisogna saperlo fare e ben preparare, e questo l'Italia di Mancini ha saputo farlo anche in una serata tremenda come quella di ieri.
A dimostrazione che la squadra macedone ha tentato inizialmente di giocare a pallone lo vediamo dal loro schieramento in fase di costruzione, con Ademi che si abbassa tra i due centrali per impostare mentre i due terzini si alzano per associarsi con le punte ed i centrocampisti avanzati. Per evitare che i terzini venissero raggiunti, Berardi ed Insigne si posizionavano in modo tale da poter scalare su di essi nel momento in cui il pallone viaggiava verso di essi.
Non appena il terzino raccoglieva il pallone, la squadra di Milevski provava a sovraccaricare il lato palla per avanzare mediante triangolazioni, tuttavia l'esecuzione non è stata un granché (con Elmas probabilmente sarebbe stata un'altra storia) favorendo quindi le uscite aggressive di Mancini e Bastoni a recuperare il pallone. Questo significa che con la sua aggressività senza palla l'Italia ha costretto la Macedonia ad affrettare le giocate togliendo quindi loro la possibilità di esprimere il loro piano con la palla tra i piedi.
LA DIFFERENZA L'HA FATTA LA FORTUNA O LA FREDDEZZA?
Insomma, alla fine tante chiacchere, tanta discussione sullo schieramento in campo, sulla strategia tattica ma siamo qui a commentare una partita che l'Italia ha perso contro la Macedonia del Nord dopo aver creato tatticamente le condizioni per vincerla in ciabatte, per cui è solo sfortuna o c'è dell'altro?
L'immagine che gira sui social in queste ore è questa qui: Berardi che spreca un goal a porta vuota un pallone recuperato da egli stesso sulla costruzione macedone. Questo momento probabilmente rappresenterà il turning point della partita e del destino di questa nazionale, ma sono state tante le situazioni come questa nel corso della partita, seppur meno evidenti e clamorose. Il punto in comune tra questa e tutte le altre situazioni testé menzionate stanno nell'eccessiva indecisione al momento di eseguire la giocata: ancora una volta il calcio mostra di essere una disciplina in cui non conta un singolo aspetto.
A livello tattico e strategico l'Italia ha fatto le cose giuste, ma non le ha fatte a livello tecnico nel momento in cui bisognava convertire in goal la superiorità espressa; come nell'occasione di Berardi troppe volte gli azzurri hanno sbagliato uno smarcamento (sì Immobile, parlo proprio di te) o hanno esitato troppo nell'eseguire una giocata permettendo al difensore avversario di turno di chiuderla; per cui qui è subentrato un limite mentale individuale, il calcio di oggi richiede maggiore rapidità di esecuzione, la giocata deve venir fuori in maniera automatica senza pensare un secondo in più per elaborarla, e questo aspetto ho il timore che in Italia venga poco allenato.
A conferma di ciò il goal della Macedonia ha trovato origine proprio nella sua estemporaneità: Trajkovski appena ha avuto quel pallone a disposizione che scendeva proprio in direzione del suo destro non ci ha pensato su due volte a tirare, ed il fato (vogliamo dire così?) lo ha premiato cogliendo di sorpresa Donnarumma. L'Italia, invece, non ha mai sorpreso i propri avversari, e non ci sono 32 tiri e 2 xG che tengano.
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